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Alessio Romagnoli è il capitano di questo Milan.
Ha ereditato la fascia da tanti difensori che negli anni l'hanno indossata, anche se escludiamo la parentesi dello scorso anno per praticità.
A 24 anni un giocatore è da considerarsi maturo, soprattutto se ha disputato oltre 200 gare ad alto livello.
Il problema è che non ha ancora ben compreso cosa significhi essere il capitano del Milan.
Non è solo una questione di essere l'esempio per i compagni, che già sarebbe "tanta roba", ma accollarsi le responsabilità.
Domenica sera ha lasciato la squadra in 10, già in tilt per i gol subiti e per il rigore ridicolo che Guida ha fischiato, perché si era intestardito a polemizzare con l'arbitro.
Un atteggiamento che umanamente si può comprendere, ma che non può fare parte della mentalità di un capitano che ha il compito di difendere la propria squadra e i compagni, ma soprattutto di evitare di metterla in difficoltà.
Non è la prima volta che assume questo tipo di atteggiamento che non è certamente producente, ma soprattutto non si presenta mai davanti ai microfoni, nel bene e nel male.
Quando lo fa, spesso, è durante gli intervalli di gara.
Anche dopo i gol agli ultimi minuti è stato restio nell'apparire.
In un calcio mediatico, questo è considerato un grave errore, per il momento non bastano i post su Instagram per accontentare media e tifosi.
Paolo Maldini, dirigente di questa squadra, dovrebbe insegnare ad Alessio come ci si comporta, cosa vuol dire essere il capitano del Milan. Non è un monito, perché per dedizione sul giocatore non c'è assolutamente niente da dire, ma per spiegare che la fascia per un rossonero è qualcosa di estremamente importante: c'è una storia dietro quella fascia, ci sono stati campioni che hanno fatto davvero la storia del calcio.
Calmare i bollenti spiriti e restare nei binari dell'educazione, per onorare il Milan, ma soprattutto per onorare i compagni e tifosi.
Non è facile, lo comprendiamo, ma è necessario.
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