Perché Allegri non era e non sarà mai da Milan Lui e la sua cultura minimalista del gioco sono l’antitesi della nostra storia

19/04/2019

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Vincere o perdere, spesso, sono lati di una stessa medaglia. Si vince per dettagli tante volte e si perde per sfumature molte altre. Il calcio d’altronde, si sa, è uno degli sport maggiormente condizionati dagli episodi e dal caso.
Si può vincere giocando un calcio propositivo, figlio del gioco, del piacere del tocco, oppure si può farlo giocando un calcio apertamente speculativo, basato sull’avversario e improntato più alla distruzione del gioco che alla sua proposizione.
Soltanto negli ultimi anni, per rimanere alla contemporaneità, la Champions League è stata vinta sia da una squadra che faceva un calcio spettacolare, ai limiti dell’architettura calcistica, quale era il Barcellona di Pep Guardiola, sia da una squadra che si era legata ad uno stile di gioco più essenziale come il Chelsea di Roberto Di Matteo.
Il preambolo introduttivo è utile al fine di dare una ventata di chiarezza all’argomento di questo articolo, ossia Massimiliano Allegri, l’attuale allenatore della Juventus, oggi sulla bocca di molti dopo l’eliminazione della sua squadra per opera dell’Ajax.
In tanti, in questi anni, hanno avanzato critiche molto dettagliate ai detrattori di Allegri ai tempi del Milan, spiegando loro che si sbagliavano, che il tecnico di Livorno era un grande allenatore e che era stato da polli non accorgersene.
Personalmente ho sempre ritenuto il tecnico Massimiliano Allegri, un allenatore completamente antitetico al Milan ed alla sua storia. Lo pensavo ai tempi in cui era l’allenatore di questa squadra e continuo a pensarlo tuttora a prescindere che vinca o perda con la sua Juventus.
Contestualmente, continuo a pensare che alleni una squadra (appunto la Juventus) di cui invece sembra essere il perfetto condottiero, perché della storia di questo club, Allegri incarna in maniera totale lo stile, il pensiero, la mentalità.
Il problema qui non è quanto sia bravo a vincere 5 scudetti consecutivi in quel deserto della competitività chiamato Serie A, oppure quanto sia pollo nel farsi eliminare da una squadra di ragazzini terribili che, tutti insieme, non arrivano a percepire gli emolumenti di Cristiano Ronaldo.


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No. Il problema è solo ed esclusivamente culturale. Chi sa che cos’è il Milan e la sua tradizione storica si è reso conto quasi fin da subito che questo signore non era un allenatore adatto al Milan. Non incapace, non scarso. Semplicemente inadatto.
Lui e la sua cultura minimalista per cui conta solo il risultato ed il bel gioco non esiste sono l’antitesi perfetta di ciò che è il nostro Milan, quello con cui siamo cresciuti e quello che ci ha insegnato ad amare il calcio.
Ad Allegri, della dimensione estetica e filosofica legata al tessuto connettivo del gioco, non è mai importato assolutamente nulla. Per lui la squadra va costruita sul giocatore migliore (Ibra, Balotelli, Tevez, Dybala, Higuain, Ronaldo) al fine di sfruttarne i colpi e le qualità.
Non a caso Allegri è un allenatore che nega l’importanza degli schemi nel calcio e che riduce il gioco ad una semplicità minimalista, per cui le emozioni connesse allo stile di gioco di una squadra non esistono. Esiste solo il mero risultato.
Per noi milanisti invece, il risultato non è mai l’unica cosa che conta. Il come si arriva al risultato è tanto importante quanto l’obiettivo finale ed essenzialmente per queste ragioni non potevamo non sentire come inadatto al nostro club un signore così impregnato di una cultura sparagnina.

Capitan Uncino

 


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