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“Non ho mai sofferto così dentro e fuori dal campo. Ma ho trasformato qualcosa di impossibile in qualcosa di possibile. Nella mia testa avevo un solo unico obiettivo, portare i miei compagni e il mio allenatore a diventare campioni d’Italia perchè avevo fatto loro una promessa. E oggi ho un nuovo legamento crociato anteriore e un altro trofeo.
Negli ultimi sei mesi ho giocato senza il legamento crociato anteriore nel mio ginocchio sinistro, un ginocchio gonfio per sei mesi – racconta su Instagram – In sei mesi sono riuscito ad allenarmi con la squadra 10 volte, mi sono fatto 20 iniezioni, ho svuotato il ginocchio una volta a settimana, antidolorifici tutti i giorni, ho dormito a malapena a causa del dolore”.
Il giorno dopo l’operazione al ginocchio sinistro che lo terrà fuori per i prossimi sette-otto mesi, Zlatan Ibrahimovic racconta così il calvario affrontato nella seconda parte di stagione.
Che cosa si può dire di un uomo, prima che un calciatore, così?
La risposta a chi lo definisce un egocentrico, accentratore, incapace di smettere, dannoso per la squadra e, in ultima analisi, vecchio, è sventolargli lo scudetto in faccia.
Ibrahimovic come uomo, come motivatore vale tanto oro quanto pesa. Anzi non ha prezzo.
Motivare i compagni attraverso il sacrificio – anche fisico – e con il lavoro quotidiano, mostrando loro come questa sia l’unica strada per la vittoria va molto al di là del valore di un cartellino o di uno stipendio.
Ibra ci ha tenuto a dirlo ai compagni e a farlo sapere a tutti noi.
Un leader non deve solo esserlo, ma dimostrarlo in ogni momento.
Il calcio come metafora della vita.