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Vedere entrare Daniel Maldini in campo contro il Liverpool è sembrato un momento di rottura.
In sostanza, i tifosi hanno rivisto in lui la favola bella del figlio che vendica il padre che aveva segnato in quella sciagurata partita del 2005.
La realtà, purtroppo, è stata diversa: 15 minuti, zero palloni giocati.
Con Daniel capita spesso, purtroppo, di entrare, quando entra perché non è così scontato, e non prendere una palla.
Pioli lo mette sostanzialmente punta o molto vicino alla prima punta, un ruolo che probabilmente non gli appartiene per la sua storia di calciatore, ma chissà, magari è in un ruolo di trasformazione.
Fa tenerezza però vederlo entrare e sostanzialmente subire l'umiliazione di non essere minimamente incisivo.
Dopo la stagione scorsa, probabilmente meritava di andare a farsi le ossa in una squadra di serie B, dove potrebbe trovare uno spazio.
Il cognome pesa, eccome se pesa e psicologicamente potrebbe bloccarlo.
Pesa, eccome se pesa, anche la presenza del padre in società, colui che firma i contratti...
Il rischio è di bruciare Daniel, che magari ha dei mezzi interessanti, ma al Milan fatica a trovare spazi e quelli che ottiene gli sono particolarmente stretti.
L'errore di metterlo in campo non c'è, nel senso che era l'unico attaccante a disposizione di Pioli in quel momento.
Ma si rischia, in questo modo, di mettere in difficoltà il padre, Paolo, perché è lui che ha allestito la squadra.
Pellegri, per altro, è un 2001, per quanto con esperienza, è ancora potenzialmente un fuoriquota della primavera...
Insomma, un guaio da qualsiasi punto lo si guardi.
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