Limiti ed errori di Stefano Pioli Il tecnico emiliano finisce inevitabilmente sul banco degli imputati

30/04/2021

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Stefano Pioli è un allenatore bravo, ma con una scadenza a medio termine. Lo dice la sua storia professionale degli ultimi 10 anni. A Bologna subentrò nell’ottobre del 2011 e dopo due anni positivi iniziò ad andare a male, sino all’esonero nel gennaio del 2014; a Roma, sponda Lazio, nella stagione 2014-2015 riuscì a centrare il terzo posto valevole la qualificazione alla Champions League all’ultima giornata (all’epoca andavano in CL soltanto le prime tre classificate). Fu un’impresa quasi storica che però non riuscì a trovare continuità nei risultati della stagione successiva che lo vide esonerato, ad aprile 2016, dopo una brutta sconfitta nel derby contro la Roma. Andò quindi all’Inter, subentrando a Frank De Boer nel novembre del 2016 ed iniziò molto bene, arrivando a lambire la zona Champions League, salvo poi evaporare nelle ultime partite in cui la squadra fece soltanto 2 punti in 8 gare. Inevitabile, a quel punto, l’esonero. Andò poi a Firenze nella stagione 2017-2018 (l’anno tragico della scomparsa di Davide Astori), dove fece un primo anno eccellente portando la squadra viola all’ottavo posto in campionato, ma nella stagione successiva, complice un rapporto non idilliaco con la società, le cose si complicarono e Pioli diede le dimissioni nella primavera del 2019. Al Milan, corsi e ricorsi storici, sembra che stia avvenendo qualcosa di simile. Discreto inizio da allenatore negli ultimi mesi del 2019 (con alti e bassi) e poi un 2020 indimenticabile sul piano dei risultati. Adesso, nel 2021, è però iniziata quella consueta discesa verso il basso che, per singolari ragioni, ha sempre caratterizzato la carriera del tecnico emiliano. Difficile individuare la causa o, probabilmente, le cause di tutto questo. A nostro avviso vi sono due ordini di ragioni da considerare: in primis, Pioli è troppo buono coi giocatori, troppo disponibile verso di loro, quasi paterno nel suo modo di essere e di porsi. Non avendo l’autorevolezza di Ancelotti, ma soltanto la bonomia dell’ex icona rossonera, alla lunga questo suo modo di essere lo rende poco credibile e, nel contempo, poco ascoltabile dai suoi giocatori. In tante partite negli ultimi mesi, la squadra ha dato dimostrazione di non seguire perfettamente sul campo le direttive del suo allenatore, forse perché poco convinta della loro reale efficacia. E qui si innesta la questione tattica che va considerata: il tecnico emiliano non ha mai derogato dal 4-2-3-1 imposto con soddisfacenti risultati sin dall’inizio del 2020. Questo stile di gioco ha senza dubbio portato risultati e prestazioni convincenti, ma oggi che gli avversari hanno studiato le contromosse e che il livello di condizione atletica della squadra non è più altissimo, qualche contromisura sarebbe ben accetta. Ed invece Pioli continua per la sua strada come se nulla fosse, come se adottare qualche mossa alternativa, atta a rendere più equilibrata l’attuale strutturazione fosse reato di lesa maestà. Il tecnico emiliano, dopo gli ultimi 10 anni di trend costante (prima un picco verso l’alto e poi una discesa ripida), rischia di compromettere anche questa sua avventura milanista sull’altare di un carattere troppo perbene e, soprattutto, in ragione di un talebanismo tattico che non ha ragione di esistere.

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