La sudditanza mediatica I capi chini dell’informazione nostrana verso l’allenatore dell’Inter

15/01/2021

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Un tempo di parlava di sudditanza psicologica nei confronti degli arbitri. Oggi si può parlare senza tema di smentita di sudditanza psicologica da parte della comunicazione sportiva italiana nei confronti dell’allenatore dell’Inter Antonio Conte.
Non è retorica piaggeria o, al più, mera volontà di andare a punzecchiare il tecnico della squadra rivale del Milan in classifica (l’Inter in questo preciso momento è seconda dietro la squadra rossonera di soli 3 punti). Nulla di tutto questo.
Più semplicemente, osservando in maniera abbastanza onesta il fenomeno informazione sportiva in Italia, si può constatare abbastanza chiaramente come c’è un modo di porsi diverso da parte dei giornalisti nei confronti di Conte e nei confronti degli altri allenatori.
Prendiamo ad esempio il post-gara dell’Olimpico di domenica scorsa: l’Inter era stata rimontata nel finale dalla Roma, per meriti da parte della squadra giallorossa ma soprattutto a causa delle scelte poco comprensibili del suo allenatore che aveva avuto una gestione dei cambi alquanto singolare.
Chi ha avuto la pazienza di osservare il trattamento mediatico avuto da Conte alla fine di quella partita avrà potuto notare in modo cristallino come quasi tutti i suoi interlocutori abbiano avuto quasi timore di fargli delle domande o, addirittura dei rilievi.
A Conte diventa difficile fare delle critiche; lui accetta esclusivamente domande generiche, in cui può parlare bene e lodare l’avversario (quasi in spregio alla rosa messagli a disposizione dal suo club) e grazie alle quali può esercitare al massimo la sua naturale tendenza al vittimismo.
Se qualcuno, ogni tanto, osa entrare nel merito di questioni di campo, contestando le sue scelte o, addirittura, ponendo rilievi di natura tecnica sulla gestione della partita o dei cambi, immediatamente la faccia di Conte diventa truce e i suoi toni assumono vesti molto aggressive.
Un mese fa, quando l’Inter è stata eliminata dalla Champions League dopo una partita alquanto sciatta contro lo Shakhtar Donetsk, Conte si è trovato di fronte un signore come Fabio Capello che, a differenza di altri, non ha timori reverenziali nei suoi confronti.


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Lì è venuto fuori tutto il livore e la rabbia di Conte per essere incalzato da un collega su questioni di campo (in certi momenti Capello sembrava quasi una maestrina con la penna in mano), sia perché non era abituato, sia perché nella sua visione delle cose ciò non è accettabile.
Conte è stato abile in questi 10 anni a costruirsi l’alea di allenatore perfetto, che non sbaglia nulla, del quale i tifosi devono sentirsi orgogliosi perché lui è il valore aggiunto della squadra, il moltiplicatore di punti che, senza la sua giuda, non ci sarebbero.
In questa visione del mondo, strettamente egocentrica, Conte non accetta contestazioni e si permette di usare toni seccati o rabbuiati non appena qualcuno osa porre una qualsiasi critica al suo operato come allenatore.
I media italiani sembrano essersi adeguati a questo andazzo, accettando supinamente di avere il capo chino ogni volta che l’allenatore dell’Inter si presenta a petto in fuori davanti alle telecamere, esibendo la sua bravura e ridimensionando il valore della sua squadra.
Non è un caso che, qualora l’Inter dovesse vincere il campionato, lo scudetto sarà mediaticamente presentato come la vittoria di Conte; qualora invece l’Inter non dovesse vincere il campionato, le colpe saranno mediaticamente in capo alla dirigenza, rea di non aver dato una squadra abbastanza forte al tecnico che nulla sbaglia e tutto azzecca.

Capitan Uncino

 


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