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L’arrivo di Pioli sulla panchina del disastrato Milan lasciato da Giampaolo è stato come “un dolce balsamo che lenisce le ferite” (cit.). Una iniezione di genuino buonsenso in un corpo schizofrenico. Non sarà mai un allenatore che potrà vincere qualcosa di importante, un Klopp o un Guardiola, ma è sicuramente un ottimo gestore di giocatori.
Solo la gestione della tragedia Astori meriterebbe approfondimenti nei libri di crisis management, risorse umane e psicologia.
Lui ha calmato le acque di un Milan in tempesta. Ma non ha fatto tutto da solo (con il suo staff, ovviamente). A gennaio è arrivato Ibrahomovic, il comandante ideale per una squadra allo sbando e che necessitava di un leader.
La sua dedizione al lavoro, il suo carisma e la capacità di essere un esempio hanno catalizzato le forze positive di una squadra che sembrava persa.
Pioli e Ibrahimovic si completano a vicenda, in qualche modo.
Non vi è alcun dubbio che con l’arrivo dello svedese la gran parte dei giocatori ha cambiato passo e rendimento. Uno su tutti: Rebic.
Le vittorie contro Roma, Lazio e Juventus - ottenute dopo una preparazione fisica fatta da Pioli, e non ereditata dall’allenatore precedente – non sono arrivate per caso. Sono frutto di una crescita collettiva che ora dà i suoi frutti.
Gazidis ha già deciso di fare l’ennesima rivoluzione. Ma con l’arrivo di Rangnik c’è il rischio concreto di buttare via tutto il buono che potrebbe ancora uscire da questa stagione.
Lo svedese ha fatto capire che vorrebbe restare. Pioli sapeva fin da subito che sarebbe stato un traghettatore.
Ma se le cose funzionano, con qualche innesto giusto, non saremmo poi così lontano dal giocarci un posto per la Champions League, l’unico obiettivo che conta.
Rinunciare a cuor legger alla Premiata ditta Zlatan e Stefano può essere un salto nel buio.