Se lo stadio è una priorità per tornare grandi L'Uefa detta le regole, ma poi si fatica a far quadrare i conti

08/02/2019

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In attesa che il TAS si pronunci sulla sentenza Uefa, il Milan di Scaroni si occupa del problema stadio.
E lo fa in prima persona, muovendosi insieme a Gazidis per trovare nuove fonti di introiti necessari per rinforzare economicamente la squadra e per tornare a livelli competitivi.
Lo stadio di proprietà è una fonte incredibile di introiti, anche e soprattutto per le voci di bilancio legate al concetto, allargato, di immobiliare.
San Siro è San Siro, non si discute, in fondo è già pronto e richiederebbe solo qualche lavoro di ammodernamento, sebbene massiccio.
Costruirne uno nuovo di fronte non avrebbe senso, sia per il significato di San Siro stesso, sia perché ci sarebbe sempre il vecchio a incombere sul nuovo.
Costruirlo da un'altra parte avrebbe senso solo se diventasse la casa del Milan, o degli altri, ma anche qui ci sarebbe sempre un confronto difficile.
Prendere San Siro in comproprietà significherebbe dividere i costi, ma anche i guadagni, nonché scendere a compromessi costantemente.

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La questione è tutt'altro che semplice, il tavolo di lavoro è attivo da tempo, ci sono interessi anche comunali molto importanti, aree da valorizzare e via di seguito.
Dipanare questa matassa non è facile, soprattutto se si considera che gli interessi delle società sono simili, ma anche molto differenti.
Abbandonare San Siro sembra davvero impensabile, ma ad oggi non esiste un progetto né alternativo né integrato con le aree del Trotter.
La trattativa è complicata e le varie voci, messe in circolo a regola d'arte, non aiutano.
Scaroni sta lavorando, più o meno sotto traccia, per giungere ad un accordo, ma difficilmente accadrà in tempi brevi e il nuovo stadio, che sia un San Siro rimesso a nuovo o un altro, non è ancora nemmeno all'orizzonte.
 

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