Non è proprio fair play se obblighi a fare plusvalenze I conti in regola servono solo a tutelare le grandi

13/07/2018

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Il Milan ha sempre insegnato calcio, ha innovato nel mondo del calcio e ha dettato le mode.
Oggi non è più la lepre che tutti inseguono, ma uno dei tanti nomi che rincorrono e faticano a stare dietro a questo calcio che è cambiato. Già Berlusconi e Galliani non erano più in grado di stare al passo.
Nell'epoca delle plusvalenze necessarie per potersi iscrivere alle coppe europee, questo Milan prima a trazione cinese e ora a trazione americana, il Milan è destinato a faticare.
Non conta quanti soldi vengono iniettati nella società, perché per il fair play finanziario non valgono, contano solo le proprie forze, riuscire a stare all'interno dei 30 milioni di perdite nei tre anni, ma 100 di perdite massime in una stagione.
In pratica, già con le vecchie regole, il Milan avrebbe avuto difficoltà a riemergere e puntare ad essere protagonista in Europa, con quelle nuove diventa impossibile.
Impossibile, ma fino a un certo punto.

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Cosa richiede l'Uefa alle società per rientrare dai debiti? Le plusvalenze.
Non è un caso che l'Inter abbia messo a segno vendite milionarie per giocatori che non hanno mai calcato i prati della serie A, con diritto di "recompra" associata.
Ma cosa chiede, di fatto, quest Uefa alle società calcistiche? Un bel falso in bilancio.
La finanza ha già indagato in passato sui passaggi di giocatori per gonfiare i bilanci e creare plusvalenze, e tra un annetto la rivedremo all'opera, visto che è palese che un ragazzino di belle speranze non può valere a bilancio 7 milioni di euro!
Sempre prendendo il bilancio dei nerazzurri, con la Roma è stato fatto un bel gioco di plusvalenze per l'acquisto di Nainggolan e giocatori accessori collegati, quindi una frode sportiva che in realtà diventa una richiesta dell'Uefa.
Questo è il calcio che vogliamo? Questo si può definire fair play?

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